Riconoscimento protezione sussidiaria, sentenza favorevole del Tribunale di Genova

N. 7496/2016 R.G.

TRIBUNALE di GENOVA

SEZIONE XI CIVILE

Il Giudice, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Laura Cresta,

a scioglimento della riserva assunta all’udienza odierna,

nella causa promossa da:

S*** A*** nato il 3.3.1991 a ALIKALI KUNDA (GAMBIA)

elettivamente domiciliato in Imperia presso lo studio dell’Avv. Angelo Massaro che lo rappresenta e difende come da mandato in atti

RICORRENTE

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore presso LA COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO-Ufficio territoriale del Governo di Genova,

parte resistente non costituita

e nei confronti di

PROCURA DELLA REPUBBLICA C/O TRIBUNALE DI GENOVA

Avente ad oggetto:

l’impugnativa del provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della protezione internazionale di Torino, sezione di Genova, n. prot. 14979/2016 emesso in data 8.1.2016

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Ex artt. 35 del d. lgs. 28.1.2008 n. 25 (“Attuazione della Direttiva 2005/85/Ce recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato” e 19 del d. lgs. 1.9.2011 n. 150 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione … “)

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Il ricorrente, cittadino gambiano, ha presentato alla Questura di Genova domanda per

richiesta di asilo politico: nel corso dell’audizione egli ha dichiarato di essere fuggito dal suo Paese per i timori conseguenti alla circostanza di avere determinato un incendio colposo in conseguenza del quale veniva attinto e distrutto un magazzino di terzi. Più in particolare per il timore di essere arrestato in conseguenza della denuncia presentata dal proprietario del magazzino.

La sezione di Genova della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale in data 8.1.2016 ha respinto la richiesta ed ha deciso di non riconoscere in favore del ricorrente alcuna forma di protezione internazionale o umanitaria ritenendo il racconto sommario ed incoerente.

Con ricorso tempestivamente depositato il signor S*** ha proposto impugnazione avverso il provvedimento indicato in epigrafe chiedendo il riconoscimento: in via principale, della protezione sussidiaria ex art. 14 D. Lgs n. 251/2007 ed in subordine del permesso per motivi umanitari.

Il Ministero dell’Interno e la Commissione, nonostante la ritualità della notifica del ricorso, sono rimasti contumaci e il Pubblico Ministero, cui gli atti sono stati regolarmente comunicati, non è intervenuto in giudizio.

All’udienza fissata è stato ascoltato il ricorrente con l’ausilio di un interprete, comprendendo poco il primo la lingua italiana, e ad esito della sua audizione il difensore ha insistito come in ricorso ed il Giudice si è riservato di provvedere.

***

Come noto, il quadro normativo di riferimento della protezione internazionale è costituito dalla direttiva 2011/95/Ue (che ha sostituito la direttiva 2004/83/Ce) e, sul piano interno, dal d. lgs. 19 novembre 2007 n. 251, così come modificato dal d. lgs. 21 febbraio 2014, n. 18, attuativo della direttiva 2011/95/Ue.

L’art. 2 del d. lgs. 2007 n. 251, definisce “rifugiato” il “cittadino straniero il quale, per fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate non può o, a causa di tale timore non vuole farvi ritorno…”.

L’ art. 7 del d. lgs. 19.11.2007 n. 251 esemplifica le forme che gli atti di persecuzione possono assumere e l’art. 8 prevede poi che gli atti di persecuzione (o la mancanza di persecuzione contro tali atti) devono: a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali; b) costituire la somma di diverse misure, tra cui la violazione dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercire sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).

Per quanto concerne la protezione sussidiaria – che deve essere riconosciuta al cittadino straniero che non possieda i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine (o, in caso di apolide, nel Paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale) correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e che non può, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di tale paese – l’art. 14 predefinisce i danni gravi che il ricorrente potrebbe subire e precisa che sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Inoltre, ex art. 5 del d. lgs. 2007 n. 251, responsabili della persecuzione rilevante ai fini dello status di rifugiato, devono essere: 1) lo Stato; 2) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; 3) soggetti non statuali se i responsabili di cui ai punti 1) e 2), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.

Infine deve essere osservato che l’art. 3 del d. lgs. 2007\251, in conformità con le Direttive Qualifiche, prevede che, qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri quando l’autorità competente a decidere ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita idonea motivazione dell’eventuale mancanza di alti elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente siano da ritenersi coerenti, plausibili e non in contrasto con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone relative al suo caso; d) egli abbia presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) il richiedente sia in generale attendibile.

Si tratta, come ricordato di recente dalla Corte di Cassazione (ord. 9 gennaio – 4 aprile 2013 n. 8282), di uno scrutinio fondato su parametri normativi tipizzati e non sostituibili, tutti incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda e che impongono una valutazione d’insieme della credibilità del cittadino straniero, fondata su un esame comparativo e complessivo degli elementi di affidabilità e di quelli critici.

La Suprema Corte aveva peraltro già da tempo precisato che “in materia di riconoscimento dello “status” di rifugiato, i poteri istruttori officiosi prima della competente Commissione e poi del giudice, risultano rafforzati; in particolare, spetta al giudice cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine. In tale prospettiva la diligenza e la buonafede del richiedente si sostanziano in elementi di integrazione dell’insufficiente quadro probatorio, con un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull’onere probatorio dettate dalla normativa codicistica vigente in Italia” (Cass., SSUU, 17.11.2008 n. 27310) e anche la giurisprudenza di merito aveva più volte sottolineato che “La Legge impone di considerare veritieri gli elementi delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non suffragati da prove, allorché egli abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e le sue dichiarazioni. siano coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone”.

Ciò premesso e ricordato, nel caso di specie, ritiene il Tribunale che, diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, il racconto del richiedente sia adeguatamente articolato, oltre che in linea con quanto è noto circa la situazione politica e giudiziaria esistente nel Paese di origine; va pertanto ritenuto che il ricorrente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornire tutti gli elementi pertinenti in suo possesso.

Non solo, ma nel corso dell’esame giudiziario il ricorrente ha ulteriormente precisato quanto accaduto il giorno della causazione dell’incendio colposo, anche rettificando quanto riportato nel verbale di audizione nanti la C.T. circa la distanza del suo campo dal magazzino incendiato, rettifica che risulta in linea con quanto poi riportato nel provvedimento di rigetto circa la distanza dei luoghi interessati, che viene ivi indicata in 100 metri. Ha infatti dichiarato… omissis

Per quanto attiene alla situazione del Gambia descritta dal ricorrente, come osservato in altri provvedimenti di questo Giudice, si può certamente dire che costituisce fatto notorio, confermato anche dall’ultimo Rapporto di Amnesty International 2015/2016, che il Presidente del Gambia in carica all’epoca della fuga del signor Sanyang, Yahya Jammeh, avesse instaurato, da oltre 20 anni, un vero e proprio clima di terrore, con sistematica repressione violenta del dissenso politico.

Dai siti internet del Ministero degli Esteri, di Amnesty International e di altre organizzazioni particolarmente accreditate (ad esempio “Peace Reporter”) è attestata in Gambia una grave situazione di violazione dei diritti umani imputabile alle autorità di governo in ragione di sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, attacchi alla libertà di espressione, il tutto in un clima di impunità. Particolarmente a rischio risultano membri della stampa, attivisti dei diritti umani, omosessuali e più in generale oppositori al regime a qualsiasi titolo anche se soltanto percepiti tali.

Anzitutto il Rapporto di Amnesty International del 2011 sui diritti umani riferisce che ”il governo ha continuato a limitare la libertà politica, a reprimere la libertà di espressione e a commettere violazioni di diritti umani nell’impunità….Membri dell’Agenzia di Intelligence, miliziani del Presidente, esercito e polizia hanno arrestato oppositori politici, difensori dei diritti umani, giornalisti….Arresti di massa nei confronti di centinaia di ex funzionari di governo sono culminati in procedimenti penali gravemente iniqui all’esito dei quali sono state comminate condanne a morte….Giornalisti risultano minacciati di morte e raggiunti da intimidazioni per aver scritto articoli sfavorevoli alle autorità o aver passato notizie ad organi di informazione”. Il Presidente Yahya Jammeh, giunto al potere con un golpe militare nel 1994, riconfermato in quattro elezioni successive (l’ultima nel mese di novembre 2011) è considerato uno dei dittatori tuttora esistenti nel mondo, mantiene il potere attraverso una legislazione fortemente limitativa della libertà di espressione e di informazione ed ha già annunciato all’alba della recente riconferma di non essere intenzionato a tener conto delle forze di opposizione. L’approvazione di nuove leggi, nel 2014, ha ulteriormente limitato la libertà d’espressione e accresciuto le misure punitive contro i giornalisti. Difensori dei diritti umani e giornalisti hanno continuato ad affrontare incarcerazioni e vessazioni. L’anno si è concluso con il tentativo di colpo di stato del 30 dicembre, che ha portato a decine di arresti e a un ampio giro di vite sugli organi di informazione. La tortura è normalmente praticata dalle forze governative.

Il ricorrente non avrebbe avuto, quindi, alcuna garanzia di subire un processo giusto per il proprio operato.

Va sul punto peraltro precisato che alle ultime elezioni presidenziali svolte in Gambia è stato eletto un nuovo presidente nella persona di Adama Barrow; dopo un iniziale periodo di profonda incertezza, nel corso del quale pareva che il dittatore Jammeh non riconoscesse il valore delle elezioni eseguite, finalmente, ed assai recentemente, il predetto ha rilasciato il Paese che tuttora, va detto, versa in una condizione di profonda insicurezza, tanto che il nuovo eletto non è ancora rientrato in Gambia, per motivi di sicurezza, ed ha assunto l’incarico rimanendo in Senegal. omissis

Stabilita la credibilità del richiedente, appaiono sussistere i presupposti per il riconoscimento a suo favore della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del D.D lgs 2007 n. 251: la normativa comunitaria ed interna, come presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14 lett. C) del d.lgs. 2007 n.251, richiede infatti la presenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato o interno o internazionale e, come recentemente ricordato la Corte di Giustizia ha ricordato che “mentre nella proposta della Commissione, che ha portato all’adozione della direttiva la definizione di danno grave … prevedeva che la minaccia contro la vita, la sicurezza o la libertà del richiedente potesse configurarsi sia nell’ambito di un conflitto armato, sia nell’ambito di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti dell’uomo, il legislatore dell’Unione ha invece optato per la codifica della sola ipotesi della minaccia alla vita o alla persona di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (punto 29 della sentenza 30.1.2014).

Non appare infatti condivisibile l’assunto della Commissione a mente del quale, se il richiedente dovesse tornare nel proprio paese d’origine, non sarebbe a rischio di danno grave e ciò proprio alla luce del fatto che egli è stato denunciato alla Polizia, con i conseguenti rilevanti rischi giudiziari come attestati dalle COI sopra riportate.

Ritiene pertanto questo Giudice che in caso di rientro in Patria il ricorrente sarebbe davvero esposto ad un concreto rischio di pregiudizio per la propria incolumità: dover infatti rientrare in un Paese dal quale il ricorrente era fuggito per il timore di subire un processo iniquo e che oggi risulta ancora ben lontano dalla democrazia ed i diritti dei cittadini sono quotidianamente calpestati vorrebbe dire esporre il signor Sanyang a seri e gravi pericoli per la sua incolumità.

A ciò si aggiunga che ad agosto dell’anno scorso l’assemblea nazionale ha approvato un emendamento al codice penale inserendo il reato di “rendersi irreperibili alle autorità” sicchè il ricorrente, che ha lasciato il Gambia nel mese di giugno 2014, è irreperibile alle autorità gambiane da ormai due anni e corre il concreto rischio, ove tornasse, di essere sottoposto al carcere a vita, peraltro in condizioni disumane.

Per questi motivi, la domanda di protezione sussidiaria deve essere accolta.

Per quanto attiene infine alle spese di lite, considerato che l’Amministrazione non si è costituita in giudizio, e vista la particolare natura del procedimento, si ritiene di dichiararle non ripetibili da controparte

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e per l’effetto riconosce in capo a

S*** A*** nato il 3.3.1991 a ALIKALI KUNDA (GAMBIA) la protezione sussidiaria

ex art. 14, lett. c) D. Lgs. n. 251/2007,

– Dichiara non ripetibili le spese del giudizio.

Si comunichi.

Così deciso in Genova, il 24.1.2017

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